Diario di bordo di una prof in quarantena
L'esperienza di insegnare a distanza tra marosi, ciurme e alberi maestri
Grazie a un valido capitano e all’equipaggio di colleghi intraprendenti abbiamo levato l’ancora il 10 marzo, e da allora navighiamo, un po’ a vista (specie le prime settimane), un po’ affidandoci alla (buona) stella, speranzosi di trovare qualche porto sicuro.
Siamo stati fortunati: gli studenti ci hanno accolti ogni mattina nelle loro case, approdi sicuri per continuare il viaggio della scuola. Abbiamo alloggiato in una suite virtuale che ci ha permesso di ritrovarci, di sorriderci, di scambiarci riflessioni sulle notizie di cronaca, considerazioni sullo sviluppo delle monarchie nazionali, confidenze sulle difficoltà del momento.
Siamo stati, credo, anche abbastanza bravi: la situazione nuova ha attivato in noi insegnanti strategie di cui, forse, non ci saremmo creduti capaci in un contesto di routine.
Tra carte nautiche (decreti e ordinanze ministeriali) e portolani (tutorial digitali e link delle videolezioni dei colleghi), la vera bussola è stato un post-it dei primi giorni, dove mi ero appuntata gli ashtag che sono diventati la mia stella polare: #difronteavoi ma #alvostrofianco.
I ragazzi, per parte loro, hanno risposto benissimo; anzi, sono stati loro a chiamarci. “Le scuole chiuse sono una ferita per tutti”: così si è pronunciato il Capo dello Stato in un discorso agli studenti che ho ascoltato, emozionata, con le mie classi. Ma i ragazzi si sono rimboccati le maniche e in molti hanno saputo cogliere la sfida, lavorando sul proprio senso di responsabilità, sulla gestione di un tempo diverso, sull’organizzazione di materiali e spazi per lo studio. Riscoprendo (me lo hanno confessato in tanti) il piacere dello stare in famiglia e la fortuna di poter vedere e parlare con compagni e insegnanti.
Passati i timori iniziali, in questi ultimi giorni di attività didattiche sincrone anche dal freddo schermo si percepisce la primavera che avanza tiepida, distrae i tredicenni, promette loro un’estate di libertà... vedi le farfalle che dallo stomaco passano attraverso i pixel, la voglia dei ragazzi di evadere bussa forte e loro sanno contagiarti con il buonumore di confidenze e battute scanzonate. Cerco anch’io di essere bella e leggera come loro, ma non ci riesco: guardare il calendario a me comincia a far venire gli occhi lucidi. E poi è un vero peccato che per qualche tempo non potrò mettere a frutto la mia elevata competenza di lettura del labiale, tanto esercitata nei momenti di inconsapevole microfono spento, causa mascherine...
Ma questi sono discorsi sulle prossime tappe del viaggio. Per ora, dal mio osservatorio di animatore digitale d’Istituto, dall’alto dell’albero maestro (meglio, albero professore di una scuola media), constato che abbiamo dovuto affrontare non pochi marosi, tra connessioni difficili, logistica impegnativa e “ciurma” talora indisciplinata, ma allo stesso tempo non posso che dirmi soddisfatta del tragitto percorso, perché la fatica è stata ripagata da quegli occhi curiosi e quelle orecchie protese. E tra pochi giorni augurerò ai miei ragazzi di terza di proseguire al meglio la loro navigazione, levando l’ancora da soli, come hanno imparato a fare, non solo muovendosi in acque sicure ma anche osando e sfidando a volte le situazioni, sempre ricordando che le distanze, se lo si vuole con testa e cuore, si superano.