Nonna, ti insegno il greco!
Pietro ci racconta com’è essere l’insegnante di una nonna malata, un progetto iniziato per gioco da piccolo che lo ha portato a risultati inattesi
Pietro Bartoloni ha 14 anni e viene da Roma. Con la nonna Marisa, affetta da una malattia che provoca un progressivo declino cognitivo, ha iniziato da anni un percorso di studio per il quale è stato premiato lo scorso aprile dal Presidente della Repubblica, con il titolo di Alfiere.
Lo scorso aprile il Presidente della Repubblica ti ha nominato Alfiere per la costanza con cui hai seguito tua nonna malata, diventando suo “insegnante”. Te l’aspettavi? Che emozioni hai provato?
Sicuramente non me l’aspettavo. Nel momento in cui l’ho saputo stavo studiando in camera mia, è arrivata una telefonata improvvisa e ho risposto. Era già un anno che mio nonno e la dottoressa di nonna mi avevano nominato, è stato qualcosa di davvero inaspettato e quando l’ho saputo sono stato felicissimo.
E tua nonna come ha reagito, sia alla premiazione che in generale al tuo insegnamento?
Del riconoscimento nonna non è proprio consapevole. Gliel’ho provato a dire più volte, ovviamente era felice, ma non si rende molto conto di tutto ciò. Però è molto contenta del percorso che abbiamo fatto da quando avevo sette anni e che continua anche oggi, soprattutto perché ha una persona con cui parlare. Durante la quarantena ci siamo sentiti a distanza, è stato un po’ difficile, però ho scoperto che attraverso lo studio ci divertiamo continuamente, nonna riesce ad avere sempre una persona che le sta accanto e non è peggiorata con la malattia.
Ti aspettavi questi risultati anche dal punto di vista medico?
Questo proprio no. Andavo in seconda elementare, è iniziato tutto come un gioco, stavamo davanti alla lavagnetta dopo scuola, a casa mia, abbiamo cominciato a scrivere le lettere, i numeri e da un gioco è diventato quasi un impegno. Ricordo che già in prima media la dottoressa, che segue nonna da tanti anni, ha detto di non aver visto peggioramenti, e mi ha spronato a continuare. Per me è stato un piacere ed è rimasto un gioco.
Cosa le insegni? Come strutturi le lezioni? Sei un professore severo?
Abbastanza. Ora che frequento il liceo classico, abbiamo iniziato ad affrontare lo scoglio del latino, del greco, ma anche della matematica. Durante le lezioni lei è molto attenta, prende appunti, abbiamo comprato un quaderno per ogni materia, io ho ancora la lavagna dove spiego l’argomento, facciamo sempre qualche esercizio insieme e facciamo dei piccoli test. Almeno una volta al mese facciamo un tema di italiano, l’ultimo che ha scritto è stato un racconto sulla danza, l’emozione di salire per la prima volta sul palco, visto che lei è stata una ballerina.
Perché, secondo te, ti è stato conferito questo riconoscimento? Cosa ci insegna la tua esperienza?
Che basta veramente pochissimo per fare qualcosa di grande. Bastano piccole cose, basta anche un gioco, basta donare un po’ del proprio tempo alle persone che ne hanno più bisogno. Se ognuno di noi fosse più altruista, più gentile e generoso, si potrebbe ottenere un grande traguardo comune, un mondo migliore.