Con la DAD la voce degli studenti è meno ascoltata di prima
Nonostante la difficoltà a organizzare assemblee di classe e d'istituto in DAD, gli studenti continuano ad avere idee chiare su come la scuola debba rivoluzionarsi a emergenza finita
Dopo un anno e mezzo di didattica a distanza, sono ormai note le ripercussioni a livello della vita scolastica. Stare tra i banchi è sempre stato sinonimo di vita sociale, di scambio, di crescita, nonché una vera e propria simulazione di società. Tutto ciò è stato fortemente ridimensionato dalla DAD, anche per quanto riguarda la partecipazione degli studenti alle iniziative e alle decisione dell'istituto. La voce e gli interessi di coloro che la scuola la vivono a trecentosessanta gradi rischiano di cadere nel dimenticatoio.
Breve storia delle assemblee studentesche
Le assemblee studentesche - di classe e di istituto - sono state istituite nel 1974, in un periodo di grande fermento politico-sociale, come "occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti". Molto è cambiato dalle origini, e le autogestioni sono passate dall'essere luoghi di dibattito e approfondimento politico a dei momenti ben più multidimensionali di crescita ed educazione al di fuori delle lezioni tradizionali e dei libri di testo. Se le assemblee di classe sono solitamente sede di confronto su istituto, compagni, didattica, progetti e professori, in quelle d'istituto si discute di società, arte, cultura, sport e scienza. Insomma, una forma di apprendimento diversa, che mette lo studente e i suoi interessi al centro.
Assemblee rare e con pochi partecipanti
Un'indagine condotta da ActionAid e IPSOS su un campione di ottocento iscritti alle superiori, presenta la triste realtà della partecipazione studentesca in epoca Covid. Solo il 20% delle assemblee - sia di classe che d'istituto - si è tenuto regolarmente. Un problema che, secondo la vicesegretaria di ActionAid Katia Scannavini, non va sottovalutato: "Per creare davvero una scuola inclusiva e combattere l’abbandono e la dispersione scolastica è necessario che si rendano efficaci e si rispettino gli spazi di partecipazione e consultazione dei giovani. La nostra esperienza dimostra che la bassa partecipazione alimenta le diseguaglianze". Scannavini crede che se la ripartenza post-pandemica deve essere trainata dai giovani, in questo modo non è loro permesso di prendere le redini della situazione: "Senza la voce qualificata degli studenti sul futuro della scuola, il piano di investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rischia di diventare un’occasione persa".
La scuola del dopo-Covid secondo i ragazzi: più aperta, sicura, inclusiva e tecnologica
Parole confermate nell'esperienza degli studenti che hanno vissuto la scuola in tempo di pandemia. Il 70% di loro crede che la vita sociale abbia risentito duramente della pandemia, e il 40% ha testimoniato un duro colpo anche alle attività extrascolastiche. Ma è anche vero che due iscritti alle superiori su cinque sostengono che l'emergenza che stiamo vivendo possa essere un motore per l'attivismo giovanile - il Covid-19 ha messo alla luce le enormi disparità della società - e per un rinnovo della scuola italiana. I giovani credono che i fondi forniti dall'Unione Europea per il PNRR debbano essere utilizzati per le nuove tecnologie, la sicurezza dei plessi scolastici, la formazione dei docenti e i progetti extracurricolari. Il Recovery Plan dovrebbe inoltre essere un punto di svolta per lo stanziamento di maggiori fondi a quelle iniziative volte a supportare i ragazzi a rischio abbandono. ActionAid si occupa già di più di 24 mila studenti in oltre trecento istituti in tutta Italia, ma ciò secondo l'organizzazione non è sufficiente: servono finanziamenti che portino nelle scuole figure professionali vicine ai servizi sociali che facciano da tramite tra alunni, scuola e famiglie, per costruire una risposta coordinata ed efficace alla dispersione scolastica.
Un dibattito ancora superficiale
Ma mentre gli studenti stanno immaginando una scuola rinnovata dopo le difficoltà dell'emergenza pandemica, il mondo della politica pare ancora legato a discorsi limitati e ripetititivi. "Anche quest’anno, in prossimità del rientro, il dibattito pubblico sulla scuola è sterile e incentrato sulla dicotomia didattica in presenza o didattica on-line, mascherine o procedure in caso di casi positivi. Sentiamo la necessità di riaprire una riflessione pedagogica, un confronto sul modello di scuola che vogliamo costruire, sul ruolo che essa ha nei confronti di individui, comunità, territori e della società", dichiara a ActionAid Luca Redolfi dell'Unione degli Studenti, "Abbiamo deciso di ricostruire le nostre scuole a partire da spazi assembleari che garantiscano un confronto reale tra le componenti sociali della scuola per immaginarne un cambiamento dal basso, in forma radicale e strutturale, dalla valutazione all’edilizia, dal diritto allo studio alla didattica". Così come ha dimostrato nei diciotto mesi di emergenza, la politica italiana continua a considerare la scuola come un semplice luogo di istruzione, senza valutare le esigenze degli studenti e la necessità di rinnovamento da loro richiesta. Che la fine della pandemia e la relativa ripartenza possano essere finalmente un punto di svolta?