Caparezza è resuscitato?
Articolo di Andrea Del Curatolo, 18 anni I.T.T. Cristoforo Colombo dal laboratorio di Zai.Net
11.05.2019
Riportare la chiesa al centro del villaggio. Riportare Michele Salvemini al centro della discografia di Caparezza. Che la scrittura di Caparezza si fosse fatta sempre più introspettiva, lo si era capito ascoltando Prisoner 709 ed Exuvia segue molto questa linea.
L’introspezione è servita molto a Michele in questi anni, anni in cui, è stato vittima di un male che l’ha reso prigioniero di sé stesso, l’acufene. L’acufene lo scinderà tra Michele e Caparezza, l’uomo e l’artista, in una prigionia fisica e mentale dalla quale riuscirà a fuggire solo imparando ad accettarlo come parte di sé. Se Prisoner 709 era detenzione ed evasione, Exuvia è morte e resurrezione. Caparezza lascia il suo corpo, non fisicamente, ma come gli artropodi ai quali rimane solo il loro esoscheletro dopo la muta.
L’ottavo disco, per Michele, è quello più difficile. Non perché debba rispondere ad esigenze particolari ma perché arriva dopo un percorso artistico che ha segnato l’esoscheletro di Michele. Per questo Canthology non dev’essere visto come un brano autocelebrativo ma come un punto di partenza che punta alla riscoperta del proprio io. Michele prende quindi El Sendero, cammino che lo porta a riscoprire le proprie origini. Ma qui c’è l’eterno paradosso: la forza per aprire le ali e spiccare il volo emerge da una battaglia inesausta, fatta di assurdi e contraddizioni. Caparezza intraprende quindi un viaggio di separazioni: è in fuga dal suo disco precedente, che è quindi l’inizio del distacco dai resti del suo io.
Anche le strumentali giocano un ruolo molto importante nell’economia del disco. Non è sorprendente trovare una moltitudine di richiami a diversi generi musicali. La Scelta, ad esempio, ci ricorda la fibra più squisitamente cantautoriale di Capa, sempre aperto alle sperimentazioni e ci ricorda che il suo lavoro è tutto un gioco di metri, ritmi e tempi. L’ipnotico alternarsi di extrabeat e tempo in Canthology ne è un fulgido esempio.
Alla fine dell’ascolto, Exuvia lascia delle domande aperte. E’ un’opera densa ma perfetta sotto ogni punto di vista. Ancora una volta, sembra di essere di fronte ad un testamento artistico. E questo rimarrà in giudizio ai posteri, ma qualsiasi cosa uscirà dopo Exuvia, sarà dopo Exuvia.