Benvenuti nella House of Zef
Articolo di Alessandra Testori
17.03.2020
È un topos molto diffuso nell’hiphop, quello di tornare nel ghetto una volta fatto il botto. Si torna per restituire, metaforicamente o materialmente, quello che l’ambiente dove sei cresciuto ti ha dato, per riconoscere che solo grazie ad esso, e quindi alle persone che ne fanno parte, si è arrivati dove si è arrivati. È una forma di ringraziamento, ma anche di riaffermazione identitaria, per dire: “il successo non mi ha cambiato, non ho dimenticato le mie origini, la mia gente”. Ci sono un’infinità di video di trapper americani che tornano nel blocco a bordo del nuovo SUV e vengono accolti dal quartiere in festa, tutti si abbracciano, vengono lanciante banconote in aria o, in modo più raffinato un po’ stile Drake, si va dalla gente e si scambiano banconote con lacrime di commozione e gratitudine — assicurandosi di essere filmati. Ma i Die Antwoord non sono americani e non sono minimamente interessati a seguire un trend — loro, al massimo, lo dettano.
A undici anni dal primo disco ufficiale, “$O$”, Ninja e Yo-Landi hanno pensato di ritirarsi a vita privata per godersi in pace i guadagni. Ma, invece di liquidare la decisione con un post su Instagram, prima di sparire per sempre hanno voluto rendere omaggio alla propria patria, il Sud Africa. Così hanno raccolto in un album tutte le voci degli artisti sudafricani che, secondo loro, il mondo deve conoscere, e ieri, dopo aver fornito qualche indizio sui social, hanno pubblicato a sorpresa il disco. L’album, che dovrebbe essere il loro quinto e ultimo, s’intitola “House Of Zef” e, in effetti, il nome rappresenta perfettamente la natura del progetto: la Casa dello Zef, il movimento controculturale locale nato dalla risemantizzazione del termine dispregiativo usato per indicare i bianchi della classe operaia, una sorta di riabilitazione dell’immaginario White trash della realtà urbana sudafricana; oggi la connotazione bianca è andata per lo più persa e anche i neri possono identificarsi come zef.
In ogni caso, la coppia di matti ha risalito gli anfratti più oscuri dell’underground sudafricano alla ricerca di tutti gli artisti che rispecchiassero la loro interpretazione di zef e li hanno riuniti in 5 tracce delle 12 del disco. La maggior parte di essi è perlopiù sconosciuta al grande pubblico, ma questo non inficia lo stile del disco, anzi, è ciò che lo caratterizza. “House Of Zef” è un concentrato di riferimenti culturali che non siamo neanche in grado di capire perché troppo distanti dalla nostra realtà, ma la cui profondità si percepisce, a partire dalla scelta di utilizzare le lingue locali. Il risultato è un’ora scarsa di delirio incomprensibile ma molto minaccioso e a tratti futuristico, pregno di identità, con contaminazioni africane nei ritmi e asiatiche nei suoni, senza una coerenza interna o uno stile definito, che subito non riesci a capire se ti piace o ti destabilizza e basta, ma che dà una carica incredibile. In pratica, un disco degli Antwoord.
L’ultima traccia, “NO 1”, riprende la titletrack strumentale con cui si chiudeva “$O$”, per fare un bilancio della vita: se li avete seguiti dall’inizio, è un’emozione intensissima, che non lascia dubbi sull’intenzione di concludere così il loro percorso. Sarà da vedere se non cambieranno idea ma, nel frattempo, dalla Casa dello Zef: “Be Happy”.