Siamo sicuri di aver capito l’ultimo disco di Kendrick Lamar?
🔍 Abbiamo deciso di offrirvi una dettagliata parapfrasi dell’opera più introspettiva e personale del genio di Compton Kendrick Lamar
I BET Awards del 2023 sono stati trasmessi il 10 ottobre, il premio “album Hip Hop dell’anno” è andato a Her Loss; il proggetto di Drake e 21 Savage, i quali hanno vinto anche “miglior duo dell’anno”. Tuttavia, l’artista che si è aggiudicato il maggior numero di premi è Kendrick Lamar, che è tornato a casa con ben quattro riconoscimenti:
- Artista Hip Hop dell’anno
- Miglior performer live
- Liricista dell’anno
- Video director dell’anno (con Dave Free).
Il valore di tutti questi awards potrà anche essere relativo, ma per noi si trasforma in un’occasione per rispolverare l’ultima opera del rapper di Compton dopo circa un anno e mezzo dalla sua pubblicazione, per chiederci se davvero abbiamo capito la profondità espressiva di Mr. Morale & The Big Steppers, e per farvelo recuperare se ve lo siete perso.
Se il talento di Kendrick per lo storytelling non sorprende più, quello che sorprende è forse la sua capacità di articolarlo in modi nuovi, spostando il focus delle sue narrazioni in ogni disco.
Dopo aver raccontato le vicende del bravo ragazzo in una “M.A.A.D City” nel 2012, in quella che è stata definita un’opera autoetnografica, Lamar è diventato la voce della sua comunità, articolando l’esperienza afroamericana e la protesta sociale come mai nessuno prima nel suo capolavoro To Pimp a Butterfly (2015) (disco che abbiamo raccontato nella rubrica Gold Record). Nel 2017 con Damn si è poi consolidato definitivamente al grande pubblico ottenendo addirittura un premio Pulitzer… e poi?
⏳ E poi sono passati “One-thousand eight-hundred and fifty-five days”, cinque anni in cui è successo di tutto, da George Floyd alla pandemia, e molti si chiedevano dove fosse finito Kendrick, e perchè non fosse in prima linea a supportare la sua comunità come molti si sarebbero aspettati. Nonostante abbia partecipato alle marce di Black Lives Matter, lo ha fatto con il volto coperto, e ha in generale evitato di esporsi commentando gli avvenimenti.
Ma perchè è rimasto fuori dalla sfera pubblica per così tanto tempo?
La risposta viene elaborata nel disco, il peso delle responsabilità morali cucite sul suo personaggio hanno finito per schiacciare la sua vena creativa:
“writer’s block for two years, nothing moved me,
asked God to speak through me,
that’s what you hear now”
📝
[blocco dello scrittore per due anni, niente mi toccava,
ho chiesto a Dio di parlare attraverso me, questo è ciò che sentite ora]
(“Worldwide Steppers”)
Il rapper ha quindi avuto bisogno di mettere tutto in pausa per guardarsi dentro.
Tuttavia, guardarsi dentro si rivela essere più complicato del previsto, bisogna infatti prima identificare le maschere e le difese che sono state alzate e poi, se si è abbastanza coraggiosi, toglierle, e percepire vividamente la vulnerabilità che ci caratterizza, affrontarla lucidamente, elaborare i traumi, e infine guarire. Ecco, Mr. Morale & The Big Steppers racconta questo processo, il focus dello storytelling è questa volta rivolto verso l’interno e racconta un vero e proprio percorso terapeutico in cui il personaggio prinicpale prende progressivamente coscienza dei suoi traumi, dei suoi meccanismi di difesa, della voracità del suo ego, e si adopera per migliorarsi.
Traccia dopo traccia Kendrick cerca quindi di mettersi a nudo, assistiamo al travagliato processo in cui si spoglia di quel ruolo di salvatore per arrivare a percepirsi come essere umano. Il disco è un’opera teatrale in due atti, culminante in “Mother I Sober”, un momento di catarsi sia in senso psicanalitico, ovvero come processo di liberazione dai traumi tramite una presa di coscienza degli eventi scatenanti, che in senso aristotelico ovvero come atto purificatore inscenato in una tragedia che riesce a produrre lo stesso effetto liberatorio sul pubblico. La catarsi come purificazione dalle passioni è un tema che è stato elaborato molto nella cultura germanica, da Goethe a Lessing, fino a Freud, non è quindi un caso che il percorso di terapia raccontato nel disco sia guidato da Eckhart Tolle, scrittore, filosofo, e maestro spirituale tedesco che si concentra sull’introspezione e l’elaborazione dei traumi per arrivare ad una purificazione spirituale.
🎙️ La sonorità del disco è abbastanza minimale; il focus è quindi evidentemente sui testi, un disco che potrebbe quindi faticare a farsi ascoltare da un pubblico che non mastica l’inglese. Inoltre, senza una chiara comprensione del concept si rischia di perdere l’occasione di gustarsi un vero e proprio capolavoro. Per questo motivo abbiamo deciso di offrirvi una dettagliata analisi che, passando per ogni traccia, segna il filo conduttore e la narrazione del rapper che tappa dopo tappa completa il suo percorso di terapia.
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Mr Morale & The Big Steppers: analisi e parafrasi dell’album
~Big Steppers~
L’album è diviso in due, all’inizio della prima parte Kendrick è ancora intrappolato nel personaggio “eroe”, baluardo dei valori morali che li sono stati cuciti addosso. Nella prima traccia, “United in Grief” 🩸 punta infatti ancora il dito verso l’esterno, criticando ciò che non va nel mondo, articolando una protesta sociale come del resto ci si aspetterebbe da lui: “The world that we in is just menacing, the demons portrayed as religionous” — [il mondo in cui siamo è minaccioso, demoni dipinti come se fossero religiosi], e cerca di coprire il dolore con beni materiali: “Dave got him a Porsche, so I got me a Porsche” — [Dave si è preso una Porsche, quindi mi sono preso anch’io una Porsche], il punto di partenza è quindi il Kendrick che già conoscevamo, quello prima della terapia. Poi in “N95”😷 inizia a spogliarsi del lusso e dello status, invitandoci a fare lo stesso:
“take off the clout chase
take off the Wi-Fi
take off the money phone
take off the car loan
take off the flex and the white lies”
📝
[togli la “caccia al prestigio”, togli il wifi, togli il money phone (banconote ironicamente usate come telefono), togli la macchina in prestito, togli il flex e le bugie bianche]
chiedendosi cosa rimane togliendo tutto ciò, la risposta è “You ugly as fuck” — [sei fottutamente brutto].
Su “Worldwide Steppers” 👣 inizia a mettere a fuoco quella che è la sua strategia adattiva al dolore, nonché dipendenza: “Ask Whitney about my lust addiction” — [chiedi a Whitney della mia dipendenza da lussuria], più avanti nel disco chiarisce la necessità di affrontare i traumi da sobrio, che per lui non significa evitare alcol o altre sostanze, la sua droga è infatti il sesso e il tradimento, pare inoltre che confessi di aver usato il suo status per ottenere una sorta di vendetta tramite un atto sessuale, come aveva già raccontato nel 2015 in “These Walls”, quando era andato a letto con la ragazza dell’uomo che aveva ucciso un suo amico, mentre questo si trovava in prigione. Qui invece racconta delle ragazze bianche con cui è stato, tra cui la figlia del polizziotto che ha incarcerato suo zio (“she paid her daddy sins” — [ha pagato i peccati di suo padre]), dice inoltre che i suoi antenati lo osservano mentre va con queste ragazze bianche e sentono una sensazione di vendetta: “Ancestors watching me fuck, was like retaliation” — [gli antenati mi guardano scopare, era tipo ritorsione].
Su “Die Hard” 💧 quindi Kendrick si chiede se può confessare i tradimenti alla moglie Whitney, articolando la paura di perderla:
“We all got enough to lie about
my truth too complicated to hide now
can I open up? Is it safe or not?
I’m afraid a little, you relate or not?
Have faith a little, I might take my time
ain’t no savin’ face this time”
📝
[abbiamo tutti qualcosa su cui mentire, la mia verità è troppo complicata ormai per essere nascosta, posso aprirmi? É sicuro o no? Sono un po’ spaventato, puoi comprendermi o no? Abbi un po’ di fede, potrei metterci del tempo, Questa volta non si punta a salvare la faccia]
La risposta di Whitney arriva all’inizio della traccia successiva, in “Father Time” 👨👦 scopriamo che dire la verità si rivela la scelta giusta, lei infatti lo comprende e si prodiga per guidarlo, indirizzandolo verso la terapia, proposta che trova però una ferma resistenza, tipica di un’ideale di iper mascolinità presente in modo particolare nella comunità afroamericana; lo stigma sociale legato alla terapia è tangibile, tutto ciò assume tratti ironici, arrivando poi all’entrata in scena di Eckhard Tolle e all’inizio della sessione terapeutica:
“Real nigga need no therapy, fuck you talkin’ about?
Nah, nah, you sound stupid as fuck
Shit, everybody stupid
yeah, well, you need to talk to somebody, reach out to Eckhart”
📝
[Un vero n* non ha bisogno terapia, di che cazzo stai parlando? No, no, sembri un cazzo di stupido, fanculo, siamo tutti stupidi, sisi, beh, devi parlare con qualcuno, contatta Eckhart]
Questa resistenza viene elaboroata nel corso della canzone, Kendrick inizia ad aprirsi e tratta il tema dei rapporti (o spesso mancanza di rapporti) con le figure paterne, riconoscendo in questi un fattore scatenante di molti degli atteggiamenti tipicamente violenti e bellicosi dei rapper: “My niggas ain’t got no daddy, grow up overcompensatin’, learn shit ‘bout bein’ a man and disguise it as bein’ gangsta” — [i miei n***i non hanno un papà, crescono compensando troppo, cercano di capire come essere uomini e lo spacciano per “essere gangsta”]. Kendrick invita tutti a cercare di riconoscere questi meccanismi, diventare consapevoli dei traumi così da non passarli alla generazione successiva, mostrando inoltre come tali dinamiche si ripercuotano spesso sulle donne: “they can’t stop us if we see the mistakes,’til then, let’s give the women a break, grown men with daddy issues” — [non possono fermarci se vediamo gli errori, ma fino ad allora, diamo una pausa alle donne, uomini adulti con traumi paterni].
Arriviamo dunque a “Rich (Interlude)” 💎, traccia che ha scioccato molti per la presenza di Kodak Black, controverso rapper con una corposa fedina penale. Perchè Kendrick, che ha cercato per così tanto tempo di sollevare la comunità afroamericana e combattere contro i pregiudizi, ha messo un artista così controverso nel suo disco?
La risposta sta nella domanda, proprio perchè Kendrick sta descrivendo il suo processo di svestizione da quell’idolatria basata sui suoi valori morali, evoca questo personaggio controverso, che rappresenta molti altri rapper e trapper come lui che vengono idolatrati per l’esatto opposto, ovvero un’apparente mancanza di valori morali che si manifesta nella celebrazione del crimine, della violenza, e dei piaceri carnali. Quando più avanti nel disco critica l’ipocrisia dei manifestanti occasionali: “I ain’t taking shit back, like it when they pro-black, but I’m more Kodak Black” (“Savior”), — [non mi rimangio quello che ho detto, mi piace quando fanno i pro-neri, ma io sono più pro-Kodak] ci sta dicendo che l’esperienza afroamericana è fatta anche di questo, che la violenza esiste ed è tangibile, non va idolatrata ma nemmeno negata, ci sta dicendo che un afroamericano non deve essere rappresentato come puro e privo di difetti per essere riconosciuto come uomo.
Lo stesso concetto fu elaborato dallo scrittore afroamericano Richard Wright con la rappresentazione del suo personaggio Bigger Thomas nel romanzo Native Son (Paura). Bigger è un ragazzo nero che vive di stenti nella Chicago degli anni Trenta durante la segregazione. Si tratta di un personaggio colmo di rabbia, violenza, e paura, che ispira volutamente poca simpatia e che non si piega quindi alla perbenista idea di una rappresentazione immacolata dell’uomo nero necessaria alla sua accettazione sociale. Al contrario anzi; proprio come Wright ottant’anni fa, Kendrick ci sta dicendo che siamo tutti umani, quindi pieni di contraddizioni e di difetti, e che i tratti negativi della sua comunità vanno evidenziati piuttosto che negati, così da innescare il discorso su cosa abbia causato questi atteggiamenti e su quali siano le origini profonde di questa violenza; il trauma generazionale risponderà in parte a questa domanda.
In “Rich Spirit” 🧘 Kendrick inizia a muovere i primi passi verso una purificazione, parlando di digiuni e astensioni sessuali cerca infatti di ricalibrare le sue priorità.
Se poi qualcuno dovesse mai chiedervi cos’è una relazione tossica, fategli ascoltare “We Cry Together” ❤️🩹, preferibilmente assieme al video. Il ritratto che Kendrick dipinge della tossicità relazionale è estremamente vivido, assistiamo a cinque minuti e quarantadue di litigio tra lui e la compagna, incastonati magistralmente nella metrica del rap, l’attrice Taylour Paige interpreta brillantemente la controparte. Come Kendrick all’inizio del disco punta il dito verso l’esterno e i prolemi del mondo, qui vediamo una figura femimnile che invece da tutta la colpa a lui e a quelli come lui per i problemi della società:
“See, you the reason why strong women fucked up
Why they say it’s a man’s world, see
you the reason for Trump
You the reason, we overlooked, underpaid, under-booked, under shame”
📝
[vedi, tu sei il motivo per cui le donne forti sono fottute, sei il motivo per cui dicono che è un mondo per uomini, vedi, tu sei il motivo per Trump, tu sei il motivo per cui siamo trascurate, sottopagate, giudicate]
Il messaggio che passa è che la tossicità presente nella società parte dalle singole relazioni intime; come possiamo essere utili alla comunità se facciamo star male chi ci sta vicino? Un invito ad una responsabilizzazione in cui lo stesso Kendrick fallisce, visto che alla fine della traccia la coppia si lascia andare ad un rapporto sessuale senza di fatto aver risolto i problemi, che con ogni probabilità riaffioreranno.
La traccia seguente è in evidente contrasto con quanto abbiamo appena ascoltato; “Purple Hearts” 💜 celebra infatti l’amore come unica emozione da ascoltare: “shut the fuck up when you hear love talking” — [chiudi quella cazzo di bocca quando senti parlare l’amore], la canzone vede la partecipazione del leggendario Ghostface Killah, che è sempre stato incline alll’elaborazione di concetti e teorie di stampo spirituale. Il primo disco si chiude quindi con una nota di ottimismo.
~ Mr. Morale ~
La seconda parte dell’album inizia con “Count Me Out” 🌧️ , Kendrick continua il suo percorso di consapevolizzazione, iniziando ad assumersi le sue responsabilità: “Rain on me, put the blame on me, got guilt, got hurt, got shame on me” — [pioggia su di me, dammi le colpe, sono colpevole, ho sofferto, ho vergogna su di me], e “Some put it on the Devil when they fall short, I put it on my ego, lord of all lords” — [alcuni danno la colpa al diavolo quando non sono all’altezza, io do la colpa al mio ego, signore di tutti i signori], il rapper è qui consapevole delle maschere, inizia a capire quali sono le cause della sua sofferenza e del blocco creativo che ha attraversato.
Quindi su “Crown” 👑 si rende conto che non può accontentare e aiutare tutti, un’illusione che sembra essersi infranta proprio nel cercare di equilibrare il suo status di “vate” di una comunità con il suo nuovo ruolo di padre.
Kendrick si sta quindi liberando di quella corona, e su “Silent Hill” 🤫 collabora di nuovo con Kodak, il tono è più spensierato e il ritornello gira attorno all’idea di scrollarsi di dosso tutto il peso accumulato, e allontanare da sé l’ipocrisia e le persone false:
“Push these niggas off me like, “Huh!”
Push these bitches off me like, “Huh!” Push these niggas off me like, “Huh!” I’m pushin’ the snakes, I’m pushin’ the fakes I’m pushin’ them all off me like, “Huh!” Pushin’ them all off me like, “Huh!” (Yeah)📝
[spingo via questi ne**i del tipo “Huh”! Spingo via queste tr**e del tipo “Huh”! spingo via questi ne**i del tipo “Huh”! Spingo via le serpi, spingo via i fake, li spingo tutti via del tipo “Huh”! Li spingo tutti via, “Huh”!]
“Savior (Interlude)” 👨👩👦👦 è introdotta dalla voce di Eckhart Tolle che spiega il fenomeno dell’identificazione nel dolore delle persone colpite da traumi infantili. Sentiamo Baby Keem, il cugino di Kendrick, articolare uno storytelling in cui racconta alcuni aspetti della loro famiglia; mettere bene a fuoco l’ambiente in cui sono cresciuti i due sarà utile per comprendere a pieno le canzoni sucessive.
Il ruolo di salvatore viene definitivamente messo in dubbio su “Savior” ✝️, puntando inoltre il dito verso l’ipocrisia di un certo tipo di azioni di protesta durante Black Lives Matter, “even blacked out screens and call it solidariety” — [avete addirittura oscurato gli schermi (riferendosi al trend di usare una quadrato nero come foto profilo di Instagram) e l’avete chiamato solidarietà]. Il messaggio che passa è che mentre qualcuno si pulisce la coscienza con un post sui social, lui e la gente come Kodak hanno a che fare con violenza e razzismo sistematico ogni giorno, “One protest for you, three-sixty-five for me” — [una protesta per te, trecentosessantacinque per me]. Kendrick ci incoraggia a lasciar andare gli idoli e a formarci delle idee nostre, abbandonando persino il suo stesse eroe che lo ha accompagnato in To Pimp a Butterfly “Tupac dead, gotta think for yourself”— [Tupac è morto, devi arrangiarti a pensare].
Lo storytelling si fa più personale In “Auntie Diaries”, 📖 in cui viene raccontata la transizione di genere di sua zia, descrivendo gli stereotipi che ha dovuto affrontare, anche da parte dello stesso Kendrick. Il pezzo è stato criticato per misgendering e deadnaming, visto il ricorrente “My auntie is a man now” — [mia zia ora è un uomo], ma il tema è trattato con una profonda empatia, e lo stesso uso della “F-word” è contestualizzato nel personaggio del giovane e incosciente Kendrick, e nel suo processo di crescita/guarigione: “Faggot, faggot, faggot, we ain’t know no better, elementary kids with no filter, however” — [fr***o, fr***o, fr***o, non sapevamo fare di meglio, bambini delle elementari senza filtri]. Kendrick non ha mai nascosto il suo lato religioso, ma ben lontano da una fede cieca, qui arriva a criticare l’istituzione della chiesa per aver discriminato sua zia a causa dell’orientamento sessuale, nonostante fosse lei molto credente. Questo evento serve a Kendrick per relativizzare l’idea di fede e continuare nel processo di rimozione degli ideali di perfezione.
Su “Mr. Morale” 🎭 Kendrick riconosce la sofferenza, i traumi generazionali, e la violenza sessuale come elementi che portano i rapper ad indossare la maschera del “thug”, cercando di nascondere tutto sotto un’attitudine da cattivo ragazzo: “a thousend rapper, using violence to cover what really happen” — [mille rapper usano la violenza per coprire ciò che è successo davvero].
“Mother I sober” 🔄 è il momento in cui kendrick riesce ad abbattere tutte le barriere per trovarsi faccia a faccia con l’origine della sua sofferenza, vede per la prima volta come tutto sia connesso, i traumi individuali e quelli generazionali della comunità afroamericana. Arriva a capire che la madre continuava a chiedergli se fosse stato toccato perchè voleva proteggerlo da quello che aveva subito lei stessa, essendo stata violentata da piccola, stava quindi per trasmettere il trauma alla generazione sucessiva. Kendrick trasla poi questa condizione sul piano storico, riconducendola al periodo dello schiavismo, in cui lo sfruttamento sessuale delle schiave nere era la norma, vengono quindi evidenziate profonde ferite generazionali che portano, secondo Kendrick (in continuità con idee già espresse nella comunità afroamericana, in particolare da W.E.B Du Bois) anche all’odio di sè e alla violenza dei neri sui neri:
“A conversation not bein’ addressed in Black families
the devastation, hauntin’ generations and humanity
they raped our mothers, then they raped our sisters, then they made us watch,
then made us rape each other, psychotic torture between our lives we ain’t recovered,
still livin’ as victims in the public eyes who pledge allegiance,
every other brother has been compromised I know the secrets,
every other rapper sexually abused, I see ‘em daily buryin’ they pain in chains and tattoos”
📝
[Una conversazione che non viene affrontata nelle famiglie nere, la devastazione che ha colpito le generazioni e l’umanità, hanno stuprato le nostre madri, poi hanno stuprato le nostre sorelle, poi ci hanno costretti a guardare, poi ci hanno portati a stuprarci a vicenda la tortura psicotica tra le nostre vite, non ci siamo ripresi, viviamo ancora come vittime agli occhi del pubblico che ci giura lealtà, ogni altro fratello è stato compromesso conosco i segreti, ogni altro rapper abusato sessualmente, li vedo ogni giorno seppellire il loro dolore in catene e tatuaggi]
La canzone culmina in un’illuminante presa di coscienza, il trauma è stato compreso ed elaborato, così facendo Kendrick dichiara se stesso e la sua famiglia liberi, la moglie Whitney che lo ha guidato in questo percorso gli dice che è fiera di lui, che è riuscito a spezzare una maledizione generazionale, sentiamo poi anche la voce della figlia che lo ringrazia.
Nell’outro, “Mirror” 🪞, Kendrick ha il tono di uno che si è appena liberato di un grosso peso, il pezzo gira intorno alla frase “I choose me, I’m sorry” — [scelgo me, mi spiace]. É quindi riuscito a lasciar cadere la maschera, acettato il fatto di non poter aiutare, salvare, o soddisfare tutti, decide di concentrarsi sulla famiglia.
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Mr. Morale & The Big Steppers è un disco estremamente personale ed umano di un’artista che si è messo completamente a nudo, definito dal Ny Times un’ icona mortale, Kendrick Lamar si scaglia conto l’ipocrisia e le contraddizioni del mondo come ha sempre fatto, ma trovandole questa volta dentro di sè. La foto copertina riassume il finale, ovvero la scelta di dedicarsi alla famiglia, ma quella pistola infilata nella cintura ci ricorda che quell’ideale di uomo immacolato e privo di colpe è inconciliabile con la realtà del mondo in cui ognuno deve difendere se stesso e i propri cari dagli squali, anche mentra si sta giocando a “Baby Shark” con la figlia: “Playing “Baby Shark” with my daughter, watching for shark outside at the same time” — [giocando a “Baby Shark” con mia figlia, mentre controllo se ci sono squali fuori] (“Worldwide Steppers”). Come del resto è stato per i dischi precedenti di Lamar, questo lavoro trascende qualsiasi trend del momento, diventando un’opera senza tempo, che potrà quindi essere ascoltata tra dieci, venti, cinquant’anni, rimanendo rilevante per i temi che tratta e il modo in cui lo fa.