Drake avvoltoio della cultura hiphop o Kendrick e Rick Ross razzisti?
Drake è accusato di essere un “culture vulture” dell’hiphop come era successo ad altri rapper bianchi prima di lui
Uno dei fondamenti dell’impianto accusatorio di Kendrick nel dissing a Drake riguarda le origine del rivale, figlio di padre nero e madre bianca. Al di là delle dirette conseguenze di questo aspetto, come la revoca nel “nigga pass”, c’è un’implicazione più sottile che sta emergendo: la legittimità dell’uso dell’immaginario hiphop da parte di Drake. Già, perché come le boxbraids possono essere sfoggiate solo dalle donne africane o afroamericane pena l’infamante accusa di appropriazione culturale, il rap e tutti i suoi simboli sembrano essere appannaggio dei neri e basta.
L’aspetto buffo è che il concetto di appropriazione culturale è una delle pedanti e superficiali bandiere sventolare con orgoglio dagli esponenti del movimento Woke, mentre l’universo hiphop ha coniato un termine dal significato pressoché analogo ma che indica una genesi autonoma, cioè “avvoltoio della cultura”, culture vulture. Intendiamoci, il dibattito su Drizzy come culture vulture non è nato adesso, ma è stato recuperato e impiegato nel contesto della faida prima da Rick Ross poi da Lamar. In “Champagne Moments”, Ross lo dipinge come un estraneo che cerca di entrare nel gruppo imitandone i membri, “Flow is copy-and-paste, Weezy gave you the juice/Another White boy at the park wanna hang with the crew”.
Naturalmente però il ritratto più impietoso è illustrato da Kendrick in “Meet the Grahams” in una serie di barre che lo colpiscono con precisione chirurgica: “You called Future when you didn’t see the club/Lil Baby help you get your lingo up/21 gave you false street cred/Thug made you feel like you a slime in your head/Quavo said you can be from Northside/2 Chainz say you good, but he lied/You run to Atlanta when you need a few dollars/No you not a colleague, you a f**kin’ colonizer/The family matter and the truth of the matter, here’s God’s plans to show you the liar”.
Un discreto repertorio di caratteristiche hiphop rubate qua e là e messe in mostra come i manufatti bantu alle Esposizioni Universali di fine Ottocento, così i real nigga percepiscono Drake, almeno secondo Kendrick. Un’opinione forte, polarizzante, che chiama in causa il sentimento di appartenenza. Ma il canadese non è certo il primo ad averla subita; ci sono passati anche Post Malone e Eminem, solo per citarne due. Il denominatore comune di chi viene etichettato come avvoltoio della cultura rap comunque è sempre la razza, il fatto di essere bianco -o comunque non abbastanza nero. È questo il problema dei concetti come appropriazione culturale: sono intrinsecamente ambivalenti. E all’estremo della difesa di una cultura c’è sempre il rischio di degenerare nella divisione netta tra culture, un confine idealtipico che nella realtà è sempre più sfumato e labile.