Ambiente

Gabcikovo-Nagymaros, quando l’ambiente valeva più dei soldi

Il caso Gabcikovo-Nagymaros ha dato luogo a una delle controversie di diritto internazionale più importanti nell’ambito della salvaguardia e il rispetto dell’ecosistema. Si tratta di un caso che ha ristabilito l’importanza ambientale nel diritto e che ancora oggi ci insegna molto

15 gennaio 2025di Gaia Canestri

Il diritto non lascia indietro niente e nessuno, neanche la Natura, o per meglio dire il diritto non dovrebbe lasciare indietro niente e nessuno, ma oggi siamo ancora lontani nella pratica da una visione del diritto davvero inclusivo, anche per quanto riguarda l'ambiente. Eppure qualcosa si muove e si è già mosso nel passato come nel celebre caso sul Progetto Gabcikovo-Nagymaros del 1997.

Il progetto e l'origine della controversia

È il 16 settembre 1977  quando Ungheria e Cecoslovacchia concludono il trattato Gabcikovo-Nagymaros che prevede la costruzione e il funzionamento di due centrali elettriche, una a Gabcikovo in Cecoslovacchia e l'altra a Nagymaros in Ungheria, collegate da un canale di raccordo lungo 25 chilometri che attraverso una serie di chiuse sul Danubio avrebbe deviato le acque del fiume presso le centrali per poi ricondurle nella loro posizione naturale. Si tratta di un progetto molto ambizioso e altrettanto dispendioso in termini economici  che potrebbe potenzialmente rivelarsi una miniera d'oro per i due Paesi, peccato però che non tenga conto delle importanti mutazioni che apporterebbe al Danubio

Il progetto si rivela da subito fin troppo costoso per essere portato a termine nei tempi prestabiliti dai due Stati che stanno già affrontando difficoltà finanziarie, così nel 1981 le parti iniziano i negoziati per posticipare l'inizio dell'esecuzione dei lavori. I negoziati si protraggono per diversi anni, fino a  quando il 7 ottobre 1988 il Parlamento ungherese alza la testa e sollecita il Governo ad ordinare una revisione del progetto per motivi di salvaguardia ambientale, ritenuti più urgenti delle ragioni economiche che avevano in origine portato alla preparazione del Progetto. La revisione determina una sospensione e poi l'abbandono dei lavori a Nagymaros nel 1989. La Cecoslovacchia è ancora determinata a portare avanti il progetto e nel 1992 risponde allora, come «soluzione provvisoria», con la cosiddetta Variante C: la deviazione unilaterale del Danubio verso il proprio territorio.

L’Ungheria non gradisce la risposta cecoslovacca e protesta, accusando lo Stato di aver non solo violato la propria sovranità privandola di una quantità di acqua che avrebbe dovuto scorrere nel tratto di Danubio ungherese, ma anche di aver violatore il trattato del 1977 che prevedeva la cooperazione dei due Stati con la conseguenza di danni irreversibili all’equilibrio ecologico. Nel 1992 l'Ungheria muove la pedina finale e denuncia il trattato invocando il mutamento fondamentale delle circostanze (ovvero la nascita di una coscienza giuridica riguardo allo sviluppo sostenibile che negli anni '70 non era ancora presente ma che ora non è più possibile ignorare) per estinguere il trattato e farne cessare gli effetti giuridici. 

Un trattato non è un gioco, ma un atto giuridico che vincola giuridicamente le parti che vi hanno aderito e che fa nascere in capo ad esse diritti e obblighi che potrebbero far luogo a illeciti internazionali se non rispettati. Eppure esistono delle cause che se invocate portano all'estinzione dei trattati, come nel caso del mutamento fondamentale delle circostanze.  La regola generale dei trattati è pacta sunt servanda (i patti vanno rispettati), ma se le condizioni iniziali sulle basi delle quali è stato concluso il trattato mutano, rebus sic stantibus (così stando le cose) il trattato sarà soggetto ad estinzione. Ovviamente non tutti i mutamenti di circostanze danno luogo ad estinzioni e l'articolo 62 della Convenzioni di Vienna ne ha fissato i requisiti: la mutazione deve essere fondamentale per il trattato e (vale a dire deve essere strettamente legata all'oggetto e allo scopo del trattato) e la parte non deve aver contribuito al mutamento delle circostanze.

Il ricorso e la sentenza 

Su una cosa però Ungheria e l'ormai dissoluta Cecoslovacchia sono d'accordo, così con un accordo speciale firmato il 7 giugno 1993 ed entrato in vigore il 28 giugno 1993 sottopongono alla CIG, la Corte Internazionale di Giustizia, la controversia relativa alla costruzione del sistema di dighe chiedendole di esprimersi in merito a tre punti:

  • Se l’Ungheria avesse diritto di sospendere e abbandonare nel 1989 i lavori presso Nagymaros;
  • Se la Cecoslovacchia avessero diritto di procedere all'attuazione della Variante C nel 1992;
  • Quali fossero gli effetti giuridici della denuncia del trattato effettuata dall’Ungheria nel 1992.

La sentenza della CIG arriva il 25 settembre 1997 e si esprime così in merito ai diversi punti. In primo luogo la Corte stabilisce che l'Ungheria non aveva il diritto di sospendere e successivamente abbandonare, nel 1989, i lavori del Progetto Nagymaros-Gabcikovo. Il progetto era descritto nel trattato originale come "unico e indivisibile" e così facendo l'Ungheria ne ha compromesso la realizzazione. Lo Stato ha poi tentato ad invocare lo stato di necessità per giustificare  la sospensione senza incorrere in responsabilità internazionale ma la Corte ha subito ricordato che non erano presenti i requisiti necessari per invocare questa causa di esclusione di illiceità e che così facendo l'Ungheria si macchiava di illecito internazionale. 

In secondo luogo la La Corte ritiene che la Cecoslovacchia, nel mettere in atto la Variante C, non ha applicato il Trattato del 1977 ma, al contrario, ha violato alcune delle sue disposizioni commettendo un atto internazionalmente illecito. La Slovacchia in realtà ha commesso illecito non ipotizzando una soluzione per procedere con i lavori del progetto, ma bensì mettendo in atto la variante che prevedeva la deviazione unilaterale del Danubio. Come la Corte ha già osservato, la caratteristica fondamentale del Trattato del 1977 è, secondo l'articolo 1, quella di un progetto unico e indivisibile. Ovviamente tutto ciò non poteva essere realizzato tramite un'azione unilaterale. Neanche la giustificazione della contromisura regge, infatti la Corte ritiene che la deviazione del Danubio effettuata dalla Cecoslovacchia non fosse una contromisura legittima in quanto non proporzionata.

Infine la CIG si esprime sull'ultimo punto, ritenendo che la denuncia dell'Ungheria del 1992 non abbia dato luogo all'estinzione del Trattato del 1997.  L'Ungheria aveva presentato diversi argomenti a sostegno della legittimità ma la Corte ha ritenuto che non fossero validi. L'Ungheria prova ad invocare l'esistenza di uno stato di necessità, l'impossibilità di esecuzione, la dissoluzione della Cecoslovacchia come motivo di estinzione e infine il mutamento fondamentale delle circostanze.

Su quasi tutte le giustificazione lo Stato cade su cavilli giuridici che non gli permettono di far valere le giustificazioni, come nel caso del mutamento delle circostanze. Insomma, la Corte ritiene che ci sia davvero una nuova coscienza ambientale che impedisce l'esecuzione dei lavori, ma che tale ragione non può dar luogo ad estinzione perché non riguarda lo scopo del trattato che era invece nato per fini economici. Così la CIG conclude affermando che il trattato è ancora in vigore ma che le parti devono negoziare in buona fede non solo per arrivare a una soddisfazione comune ma che per tenere conto dei rischi ambientali e della salvaguardia ambientale, che stavolta non può proprio essere lasciata indietro. 

Succede raramente che un Paese rinunci ad un rendiconto economico per le preoccupazioni relative all'ambiente, eppure nel 1988 l'Ungheria, pur conoscendo le sue potenzialità, si è opposta a un progetto che avrebbe irrimediabilmente danneggiato il fiume turchese che spacca l'Europa a metà. Per la prima l'ambiente vince sui soldi.

 

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