Shablo ha portato il rap old school a Sanremo, finalmente

L’esibizione di Shablo, Guè, Tormento e Joshua ha rispettato l’hiphop senza scadere nel pop
Ci voleva un producer per portare il rap a Sanremo. Ieri sera Shablo ha presentato la sua canzone in gara, “La mia parola”. Sul palco dell’Ariston intorno alla consolle sono saliti Tormento, Joshua e Guè -che Conti, come tutti in TV, ha chiamato “Ghe”, probabilmente ignaro del suo segno distintivo.
Il pezzo è un omaggio alla black music, tra toni soul, coro gospel e ritornello R&B cantato da Joshua, oltre naturalmente alle due strofe affidate ai maestri dell’hiphop. Shablo non è il primo producer che partecipa al Festival: nel 2001 infatti c’è stato Big Fish nei Sottotono e nel 2023 gli Articolo 31, ma sicuramente la figura del produttore non è la più comune tra i concorrenti della competizione.
Tra i concorrenti di quest’anno, in teoria, figurerebbero almeno un’altra decina di personalità del mondo del rap, ma tutte le loro canzoni sono lontanissime dalla firma puramente hiphop scelta da Shablo&CO. Tra Achille Lauro, Bresh, Fedez, Irama, Olly, Rkomi, Rocco Hunt, Rose Villain, Tony Effe e Willie Peyote, la maggior parte ha abbandonato il genere da anni o, comunque, non è più un rapper a tempo pieno. Nemmeno il temutissimo Tony Effe ha violato il sacro palco dell’Ariston con una trappata, ma ha optato per una califaniana ballata, quasi folk.
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Chissà se Rondodasosa accorrerà davvero in soccorso del genere questo venerdì. Il suo nome sulla torta sanremese sembrava suggerire la sua partecipazione, così come la foto di una piazza della cittadina ligure. Ma da Conti ancora nessuna conferma. E non vedendolo tra i concorrenti ieri sera, la sua presenza sembra sfumare sempre di più. Per adesso, quindi, meglio puntare su Shablo.