La scuola è finita. Anzi no
Dopo un anno di proteste, si ritorna fra i banchi tra finestre rotte, insegnanti spesso insofferenti e difficoltà economiche. Ma è questa la scuola che meritiamo? Le risposte di Milano e Napoli ai quesiti di ragazzi e insegnanti
Ottocentomila giovani in Italia oggi abbandonano la scuola, il 16% degli edifici scolastici è in una condizione disastrosa, 1500 classi (nella migliore delle ipotesi) hanno più di 30 studenti: questo il quadro preoccupante e al tempo stesso disarmante del nostro sistema scolastico. E mentre il Governo continua a sacrificare l’istruzione per far quadrare i bilanci e gli insegnanti sono sempre più rassegnati, la scuola rischia davvero di mettere in crisi il suo ruolo fondamentale di educazione alla cultura e alla cittadinanza. Come intervenire? Lo abbiamo chiesto a chi della scuola si occupa da vicino: i due neo-assessori all’istruzione del Comune di Milano e di Napoli, Maria Grazia Guida (che ricopre anche la carica di Vicesindaco del comune meneghino) e Annamaria Palmieri. Due donne che hanno molto a cuore il tema dell’istruzione e che credono ancora in una scuola motore della società. Le ha intervistate per noi una formidabile coppia di reporter: per la prima volta ragazzi e insegnanti insieme. Con Greta e Chiara, le professoresse Margherita Fratantonio e Marilena Lucente.
La riforma delle contraddizioni
Il confronto con l’Europa, la razionalizzazione degli indirizzi scolastici, i tagli al personale: ecco alcuni degli ingredienti della tanto discussa riforma Gelmini, che ha fatto infiammare gli animi di docenti e studenti. Una riforma che ha sì alcuni lati positivi, ma che ha posto anche tanti problemi: «Io credo che sia necessario liberarsi da un’ipocrisia di fondo: non si può dire al tempo stesso di voler raggiungere gli obiettivi di Lisbona sulla dispersione scolastica e poi permettere le classi pollaio. Non si può dire che si crede fermamente nell’elevamento dell’obbligo e poi non impegnarsi attivamente affinché scuole secondarie di primo e secondo grado siano davvero connesse fra loro: nessuno si pone il problema del perché dalla terza media al primo anno di liceo tanti si perdono», accusa Annamaria Palmieri.
Una mancanza di collegamento e comunicazione che si riflette fra tutti gli attori del sistema formativo: «Io credo che se abbiamo un problema in Italia in questo momento è lo scollegamento dei percorsi formativi da quello che è il mercato del lavoro; certo il tema della disoccupazione giovanile è un tema strutturale, che ha caratteristiche mondiali ed europee, ma in Italia pecchiamo di un ritardo rispetto ai percorsi di formazione, all’aggiornamento dei curricula formativi perché poi questi possano rispondere al mercato del lavoro», commenta il Vicesindaco di Milano.
La scuola italiana manca forse di modernità: pochi investimenti garantiscono piccoli cambiamenti, che mirano semmai a rattoppare situazioni di emergenza, ma che di certo non danno un passo nuovo al nostro sistema formativo. «La riforma della scuola deve partire dallo Stato. Al tempo stesso penso che i Comuni possano portare avanti delle iniziative importanti anche se su scala locale, che possano interloquire in maniera dialogica con quelle che sono le scelte governative, in modo da consentire sperimentazioni e innovazioni», continua Maria Grazia Guida.
Scuola e integrazione
Ed è proprio dai Comuni di Milano e Napoli che partiamo per raccontare come, anche se in una sfera circoscritta, la volontà di cambiare, davvero, esista. Se la scuola non deve essere altro rispetto alla società, prima di tutto non deve riprodurla in maniera difforme: se la città è multietnica, l’integrazione deve essere uno dei primi obiettivi della scuola. «L’integrazione avviene quando gli alunni a disagio, deprivati culturalmente e socialmente stanno bene in classe insieme agli altri. Non in classi differenziali, né in altri posti mantenendo il proprio disagio. È chiaro che non si può pretendere di tenere il soggetto disabile in classe ignorandolo, o trattenere con la forza in classe chi in classe non ci vuole stare: in quel caso la lezione unidirezionale non ha senso, bisogna sforzarsi di trovare nuove modalità, e questo è un percorso che va necessariamente fatto in rete», spiega l’Assessore all’istruzione di Napoli. Su cosa fondare il processo di integrazione? «Io credo in una città che, - continua Maria Grazia Guida - attraverso la costruzione di una identità importante, quella storica, si modifica in un’identità collettiva. Una città che tenga conto del patrimonio dei nuovi cittadini: questo può avvenire solo attraverso un dialogo continuo, una quotidianità rispettosa dell’altro, delle fedi religiose, delle idee oltre che delle identità culturali e di costume. L’obiettivo di questa amministrazione è quello di sostenere sia i giovani sia gli adulti in questo percorso, una sorta di palestra di nuova cittadinanza collettiva».
POF, PON e POR
L’importanza della collettività e non del singolo, della collaborazione e non della competizione: da troppo tempo manca una visione unitaria, un progetto di ampio respiro che coinvolga tutti e non alcuni e che soprattutto non sia di breve termine.
Secondo Annamaria Palmieri, «L’autonomia è stato un investimento degli ultimi 15 anni che doveva responsabilizzare la scuola, che aveva bisogno di gambe per camminare e che invece è stata demandata a una progettualità sparsa. Tante coccarde, tanti progetti: questa era l’idea di scuola che funzionava, fatta di progetti che rimanevano del tutto esterni alla scuola. L’autonomia come competizione è ormai entrata nell’anima delle scuole e l’unico antidoto a tutto questo è far sì che queste si parlino e si confrontino fra loro, che siano messe in condizione di dialogare». Spesso il contenuto dei progetti prescinde dalla possibilità di avere un finanziamento per il progetto stesso: questo fa sì che le scuole fra loro gareggino più che collaborare, cercando di ottenere più fondi, in una competizione che poco ha a che fare con la crescita culturale della collettività. La soluzione è quindi la collaborazione fra gli istituti, un dialogo continuo che spinga al confronto e al miglioramento.
Questa scuola non s’ha da fare?
Data la situazione di stallo, molti insegnanti sono disillusi e rassegnati: famoso a questo proposito è il libro di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, il cui messaggio polemico spinge ad interrogarsi sulla necessità di studiare in una società come quella di oggi. Ma quindi della scuola non c’è più bisogno, o meglio della scuola così com’è? «Il problema è complesso - risponde Anna Maria Palmieri - prima di tutto io credo che di scuola ci sarà bisogno sempre. Indubbiamente è vero che la scuola di massa non ha bisogno di insegnanti di massa: quindi è stato un grosso errore della politica lasciare soli gli insegnanti e non puntare sulla loro altissima professionalità. Bisognava fare un investimento sulla formazione, sull’incentivazione agli insegnanti a non essere quelli sfortunati, ma quelli fortunati che sono nella vera trincea della civiltà. Il risultato di questa politica è una scuola che oggi è un luogo di canalizzazione precoce. Al tempo stesso, però, la scuola toglierà il disturbo quando non ci sarà più l’istanza sociale su cui essa è nata: educare i cittadini, che non è solo insegnare loro a scrivere, leggere e far di conto, ma farne delle persone consapevoli e critiche. Fin quando questo esiste perché l’alternativa è l’agenzia formativa della televisione, beh la scuola il disturbo non lo toglie per niente».
C’è del nuovo nell’aria
Ed è proprio dal concetto di scuola come diritto imprescindibile della collettività che si deve ripartire per immaginare un futuro diverso, che non si esaurisca nel rapporto cattedratico insegnante-studente. «Io come assessore ho nel mio staff tre consulenti volontari che hanno un regolare incarico- spiega Maria Grazia Guida - ma che hanno voluto fosse a costo zero per l’amministrazione, e sono notevoli professionisti che si sono messi a disposizione. Ecco, io credo che questo volontariato “civico”, ma anche il volontariato della quotidianità potrebbe portare ad aprire le scuole al pomeriggio. Credo dunque che l’extra-scuola, con la collaborazione di volontari, associazioni, famiglie, giovani studenti, sia un pezzo importante della riscrittura del tema dell’educazione a Milano». E per quanto riguarda i progetti? «Milano deve riprendere da un lato le eccellenze che abbiamo nella formazione: penso alla scuola di teatro, di cinema, di lingue con un liceo linguistico che ci viene invidiato a livello europeo; dall’altro lato la necessaria riprogrammazione della formazione professionale, che deve consentire a tutti i nuovi cittadini, gli immigrati di seconda generazione, o giovani che hanno trovato difficoltà a completare l’obbligo, di trovare quegli abiti formativi che possano permettere loro un inserimento sociale ed anche economico nel nostro paese», continua il Vicesindaco di Milano.
«Il mio sogno è liberarmi delle urgenze: purtroppo le tante situazioni di emergenza che vive la mia città fagocitano letteralmente tutte le altre attività. Una volta ristabilita la situazione di normalità, è possibile progettare la scuola in cui credo, che sia motore della società, non il suo specchio, una scuola fatta dalle intelligenze e dalle passioni di tutti, che non lasci nessuno indietro: perché qualsiasi studente, qualunque sia la sua estrazione sociale, si può commuovere per le belle storie della nostra letteratura. Sta a noi dar loro gli strumenti», conclude Annamaria Palmieri.
La riforma delle contraddizioni
Il confronto con l’Europa, la razionalizzazione degli indirizzi scolastici, i tagli al personale: ecco alcuni degli ingredienti della tanto discussa riforma Gelmini, che ha fatto infiammare gli animi di docenti e studenti. Una riforma che ha sì alcuni lati positivi, ma che ha posto anche tanti problemi: «Io credo che sia necessario liberarsi da un’ipocrisia di fondo: non si può dire al tempo stesso di voler raggiungere gli obiettivi di Lisbona sulla dispersione scolastica e poi permettere le classi pollaio. Non si può dire che si crede fermamente nell’elevamento dell’obbligo e poi non impegnarsi attivamente affinché scuole secondarie di primo e secondo grado siano davvero connesse fra loro: nessuno si pone il problema del perché dalla terza media al primo anno di liceo tanti si perdono», accusa Annamaria Palmieri.
Una mancanza di collegamento e comunicazione che si riflette fra tutti gli attori del sistema formativo: «Io credo che se abbiamo un problema in Italia in questo momento è lo scollegamento dei percorsi formativi da quello che è il mercato del lavoro; certo il tema della disoccupazione giovanile è un tema strutturale, che ha caratteristiche mondiali ed europee, ma in Italia pecchiamo di un ritardo rispetto ai percorsi di formazione, all’aggiornamento dei curricula formativi perché poi questi possano rispondere al mercato del lavoro», commenta il Vicesindaco di Milano.
La scuola italiana manca forse di modernità: pochi investimenti garantiscono piccoli cambiamenti, che mirano semmai a rattoppare situazioni di emergenza, ma che di certo non danno un passo nuovo al nostro sistema formativo. «La riforma della scuola deve partire dallo Stato. Al tempo stesso penso che i Comuni possano portare avanti delle iniziative importanti anche se su scala locale, che possano interloquire in maniera dialogica con quelle che sono le scelte governative, in modo da consentire sperimentazioni e innovazioni», continua Maria Grazia Guida.
Scuola e integrazione
Ed è proprio dai Comuni di Milano e Napoli che partiamo per raccontare come, anche se in una sfera circoscritta, la volontà di cambiare, davvero, esista. Se la scuola non deve essere altro rispetto alla società, prima di tutto non deve riprodurla in maniera difforme: se la città è multietnica, l’integrazione deve essere uno dei primi obiettivi della scuola. «L’integrazione avviene quando gli alunni a disagio, deprivati culturalmente e socialmente stanno bene in classe insieme agli altri. Non in classi differenziali, né in altri posti mantenendo il proprio disagio. È chiaro che non si può pretendere di tenere il soggetto disabile in classe ignorandolo, o trattenere con la forza in classe chi in classe non ci vuole stare: in quel caso la lezione unidirezionale non ha senso, bisogna sforzarsi di trovare nuove modalità, e questo è un percorso che va necessariamente fatto in rete», spiega l’Assessore all’istruzione di Napoli. Su cosa fondare il processo di integrazione? «Io credo in una città che, - continua Maria Grazia Guida - attraverso la costruzione di una identità importante, quella storica, si modifica in un’identità collettiva. Una città che tenga conto del patrimonio dei nuovi cittadini: questo può avvenire solo attraverso un dialogo continuo, una quotidianità rispettosa dell’altro, delle fedi religiose, delle idee oltre che delle identità culturali e di costume. L’obiettivo di questa amministrazione è quello di sostenere sia i giovani sia gli adulti in questo percorso, una sorta di palestra di nuova cittadinanza collettiva».
POF, PON e POR
L’importanza della collettività e non del singolo, della collaborazione e non della competizione: da troppo tempo manca una visione unitaria, un progetto di ampio respiro che coinvolga tutti e non alcuni e che soprattutto non sia di breve termine.
Secondo Annamaria Palmieri, «L’autonomia è stato un investimento degli ultimi 15 anni che doveva responsabilizzare la scuola, che aveva bisogno di gambe per camminare e che invece è stata demandata a una progettualità sparsa. Tante coccarde, tanti progetti: questa era l’idea di scuola che funzionava, fatta di progetti che rimanevano del tutto esterni alla scuola. L’autonomia come competizione è ormai entrata nell’anima delle scuole e l’unico antidoto a tutto questo è far sì che queste si parlino e si confrontino fra loro, che siano messe in condizione di dialogare». Spesso il contenuto dei progetti prescinde dalla possibilità di avere un finanziamento per il progetto stesso: questo fa sì che le scuole fra loro gareggino più che collaborare, cercando di ottenere più fondi, in una competizione che poco ha a che fare con la crescita culturale della collettività. La soluzione è quindi la collaborazione fra gli istituti, un dialogo continuo che spinga al confronto e al miglioramento.
Questa scuola non s’ha da fare?
Data la situazione di stallo, molti insegnanti sono disillusi e rassegnati: famoso a questo proposito è il libro di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, il cui messaggio polemico spinge ad interrogarsi sulla necessità di studiare in una società come quella di oggi. Ma quindi della scuola non c’è più bisogno, o meglio della scuola così com’è? «Il problema è complesso - risponde Anna Maria Palmieri - prima di tutto io credo che di scuola ci sarà bisogno sempre. Indubbiamente è vero che la scuola di massa non ha bisogno di insegnanti di massa: quindi è stato un grosso errore della politica lasciare soli gli insegnanti e non puntare sulla loro altissima professionalità. Bisognava fare un investimento sulla formazione, sull’incentivazione agli insegnanti a non essere quelli sfortunati, ma quelli fortunati che sono nella vera trincea della civiltà. Il risultato di questa politica è una scuola che oggi è un luogo di canalizzazione precoce. Al tempo stesso, però, la scuola toglierà il disturbo quando non ci sarà più l’istanza sociale su cui essa è nata: educare i cittadini, che non è solo insegnare loro a scrivere, leggere e far di conto, ma farne delle persone consapevoli e critiche. Fin quando questo esiste perché l’alternativa è l’agenzia formativa della televisione, beh la scuola il disturbo non lo toglie per niente».
C’è del nuovo nell’aria
Ed è proprio dal concetto di scuola come diritto imprescindibile della collettività che si deve ripartire per immaginare un futuro diverso, che non si esaurisca nel rapporto cattedratico insegnante-studente. «Io come assessore ho nel mio staff tre consulenti volontari che hanno un regolare incarico- spiega Maria Grazia Guida - ma che hanno voluto fosse a costo zero per l’amministrazione, e sono notevoli professionisti che si sono messi a disposizione. Ecco, io credo che questo volontariato “civico”, ma anche il volontariato della quotidianità potrebbe portare ad aprire le scuole al pomeriggio. Credo dunque che l’extra-scuola, con la collaborazione di volontari, associazioni, famiglie, giovani studenti, sia un pezzo importante della riscrittura del tema dell’educazione a Milano». E per quanto riguarda i progetti? «Milano deve riprendere da un lato le eccellenze che abbiamo nella formazione: penso alla scuola di teatro, di cinema, di lingue con un liceo linguistico che ci viene invidiato a livello europeo; dall’altro lato la necessaria riprogrammazione della formazione professionale, che deve consentire a tutti i nuovi cittadini, gli immigrati di seconda generazione, o giovani che hanno trovato difficoltà a completare l’obbligo, di trovare quegli abiti formativi che possano permettere loro un inserimento sociale ed anche economico nel nostro paese», continua il Vicesindaco di Milano.
«Il mio sogno è liberarmi delle urgenze: purtroppo le tante situazioni di emergenza che vive la mia città fagocitano letteralmente tutte le altre attività. Una volta ristabilita la situazione di normalità, è possibile progettare la scuola in cui credo, che sia motore della società, non il suo specchio, una scuola fatta dalle intelligenze e dalle passioni di tutti, che non lasci nessuno indietro: perché qualsiasi studente, qualunque sia la sua estrazione sociale, si può commuovere per le belle storie della nostra letteratura. Sta a noi dar loro gli strumenti», conclude Annamaria Palmieri.