Musica

Attenti a Quelli come noi

Rock tutto da assaporare nell’album di esordio dei Club Noir. Tra un film di Hitchcock e un quadro di Malevich, questi ragazzi ci spiegano cosa significa per loro la musica

21 settembre 2011di Redazione

Esce questo mese il primo lavoro dei Club Noir, gruppo dalle sonorità pop rock che si affaccia nel panorama musicale nazionale partendo da Milano con grinta e caparbietà. Un disco che intreccia toni più intimisti a ritmi puramente rock, storie autobiografiche e di un’intera generazione, come quella raccontata in Croce Nera. Al centro dell’album c’è infatti la condizione del giovane artista, quello che oggi si dà tanto da fare e che deve lottare per riuscire a trovare il suo posto al sole. Ne parliamo con Gianluca, voce e chitarra del gruppo.
Gianluca, il vostro album è il frutto di un lavoro di due anni: dimmi a bruciapelo tre aggettivi o tre parole chiave che lo definiscono.
«Direi melodico, rock e… amore, perché è il concept di tutto il disco!».
Qual è la vostra “croce nera”?
«La croce nera è un po’ quello che viene spiegato nel pezzo di apertura del disco. Per i ragazzi oggi è sempre un gran casino fare musica o fare la propria arte, che sia fotografia, dipingere, soprattutto in Italia. È una cosa che abbiamo riscontrato un po’ fra tutti i giovani: sapendo già in partenza che non ci sono possibilità, spesso vengono scoraggiati a proseguire».
Si tratta però di una croce e delizia, dal momento che l’artista in quanto tale non vuole e non sa rinunciare alla sua arte..
«Esatto! Il messaggio di questa canzone in realtà è quello di non arrendersi e di continuare nonostante tutte le disavventure e gli ostacoli che ci accompagnano».
Il nome del vostro gruppo deriva dalla tua passione per Hitchcock. Qual è il tuo film preferito? Perché?
«È una domanda difficile! Io sono superfissato, mi piacciono tutti. Forse quello che mi è piaciuto di più è La donna che visse due volte, prima di tutto perché credo di essermi innamorato dell’attrice ogni volta che ho rivisto il film! Inoltre perché la cosa che mi ha sempre affascinato di questi film è la suspence, il fatto che fino alla fine non capisci cosa c’è dietro: lo stile con cui in questo film viene tirata fuori la soluzione è decisamente magistrale».
Quanto c’è di autobiografico nei testi?
«I testi sono completamente autobiografici - io mi occupo della stesura - trattano vicende personalissime. Alcuni pezzi come La croce nera, Quelli come noi e Il Bel Paese sono autobiografici in senso più esteso, al livello di band e forse di una generazione».
“A quelli come noi non resta che sparire o lasciare un segno indelebile”: questa frase, contenuta nel brano Quelli come noi si può considerare il manifesto della vostra arte?
«Sì, assolutamente! È un po’ quello che dicevamo all’inizio: nel tentare di fare il musicista il problema che hanno le band è di non farsi prendere dallo sconforto. È molto più semplice dire: “Basta, vado a lavorare otto ore e sono tranquillo”. Molto più difficile è continuare a stare dietro a tutti i sacrifici che comporta fare musica e cercare di farla veramente».
Se non foste musicisti cosa fareste?
«Io sarei un barista come sono adesso! Anzi, sarei un barista full time! Qualcun altro farebbe il medico, un altro sarebbe avvocato. Chiaramente noi cerchiamo di fare anche quello nel frattempo, ma senza la musica saremmo solo quello e sottolineo solo!».
Parliamo ora del vostro concept grafico: voi fate un esplicito riferimento a Malevich. Anche per voi l’espressione è superiore alla rappresentazione? È la sensibilità che conta su tutto?
«Assolutamente sì, è capitato a tutti di vedere musicisti strepitosi che fanno uno show pazzesco e magari di non esserne colpiti. Invece poi ascolti il bluesman di 50 anni che suona con una chitarra scordata e però ti emoziona tantissimo. La sostanza vince sulla forma, sempre».

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