Quattro archi fuori dal coro
Protagonisti della Notte Bianca di Genova 2011, i quattro giovani musicisti genovesi hanno scalato in brevissimo tempo le classifiche nazionali con uno stile particolare e tutto loro
Il quartetto d’archi GnuQuartet è composto da Francesca Rapetti al flauto traverso e shakers, Roberto Izzo al violino, Raffaele Rebaudengo alla viola e infine Stefano Cabrera al violoncello; il gruppo si è formato nel 2005, ed oggi è tra i più noti del panorama musicale genovese. Il loro incontro avviene sotto la stella di Fabrizio De André, suonando, invitati dalla PFM, al Teatro Nazionale di Milano per festeggiare il suo compleanno. Dopo anni trascorsi da solisti, i quattro amici finalmente si ritrovano e danno vita ad un gruppo particolare ed eclettico. Durante questi sei anni di carriera insieme pubblicano tre dischi: GnuQuartet, il loro primo lavoro, che risale al 2008; Il diverso sei tu, in occasione della Giornata Europea delle Persone Disabili; e infine Something Gnu, uscito quest’anno, in cui l’energia del rock e il virtuosismo del jazz, mescolati in uno stesso, inedito linguaggio offrono un risultato raffinato e unico. I brani che più li rappresentano sono Undisclosed Desires, che è stato primo in classifica su iTunes nonostante sia un brano rock dei Muse reinterpretato con strumenti classici; Megu Megun, un loro rifacimento del brano di De André; e infine la cover, quasi incomprensibile, di Message in a Bottle che esprime il loro lato più raffinato ed elegante, a confronto con il rock cattivo.
Per scoprire meglio il (gli?) Gnu Quartet abbiamo chiacchierato con Raffaele Rebaudengo, violista del gruppo, chiedendogli innanzitutto di fugare le nostre perplessità sull’articolo con cui definire il nome del gruppo.
«Effettivamente mettiamo spesso in crisi i giornalisti con il nostro nome – ammette Raffaele – ma alla fine noi ci siamo risolti per “il” Gnu Quartet, perché quello che importa è che si legga come new!».
In questo contrapporsi di interpretazioni, non solo grammaticali ma soprattutto musicali, voi come definireste il vostro genere?
«Il nostro stile non è facilmente riconducibile ad un solo genere musicale, anche se ormai siamo stati classificati come un gruppo jazz: spesso in Italia la musica strumentale viene posta in questo scaffale per fugare qualsiasi dubbio. Il nostro lavoro in realtà si può considerare jazz nell’idea di partenza, perché utilizziamo temi di canzoni che appartengono storicamente a questo genere, ma il risultato finale non è così formalmente vicino ai suoi standard, perciò si è creato un qualcosa di davvero personale e nuovo».
Insomma, un vero e proprio GnuGenere!
«A noi piace descriverci con un’espressione dedicataci da un assessore sardo, che ci presentò ad un concerto: “Lo gnu è un animale con il corpo del musicista classico, il cervello del jazzista e le zampe del rockettaro”; un’unione a dir poco sorprendente che ci descrive al meglio».
Nell’ascoltare i vostri brani c’è un aspetto che colpisce: quello di riuscire ad ottenere una pulsazione ritmica efficace pur in assenza di percussioni. Come arrivate a questo effetto?
«I sistemi sono molti, diversi e talvolta inconsueti. Tra questi il “chop”, che consiste nella percussione delle corde degli strumenti con gli archi, ed anche la “beatbox”, sicuramente più nota nell’ambiente hip hop, che Francesca Rapetti si diletta a praticare con la variante del flauto. Insomma con tutti questi escamotage sembra proprio che la batteria non manchi».
Come coniugate le vostre aspirazioni con le richieste del pubblico e le esigenze del mercato?
«Non abbiamo mai avuto pressioni significative sul tipo di musica da produrre, anche perché non dipendiamo da una major, quindi si può dire che scendere a compromessi non sia proprio nel nostro stile, anche se cerchiamo di accontentare sempre le richieste del pubblico. Nel nostro ultimo album ci siamo cimentati in alcuni brani dei Muse e stiamo anche pensando ad un concerto completamente dedicato a loro con l’apporto di elettronica; insomma uno spettacolo più violento e diretto rispetto a quelli a cui vi abbiamo abituati fino ad ora».
Molti dei nostri lettori e degli ascoltatori di Radio Jeans sono giovani aspiranti musicisti: che consiglio si può dare loro?
«In primo luogo di impegnarsi al massimo e di dedicare più tempo possibile allo studio di questa arte, come sostiene anche Miles Davis, perché solo così la si può comprendere e assorbire fino in fondo per poi essere capaci di produrre qualcosa di proprio. In secondo luogo bisogna avere la capacità di mettersi in discussione, rischiare di subire critiche e accettarle per crescere e migliorarsi, altrimenti non si avrà mai niente di davvero interessante da mostrare agli altri».
Il loro ultimo impegno alla “Notte Bianca”, che si è svolta nel cuore della città di Genova, si è rivelato un grande successo: hanno avuto l’onore di chiudere il concerto di Antonello Venditti, anche se a noi piace pensare che sia stato il grande artista romano ad aprire il loro!
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