Il futuro in una nano
Dalla ricerca all’impresa, passando per lo spin-off. Entriamo nei laboratori di Nanomed, nata all’interno dell’Università degli studi di Genova per creare un dispositivo nanotecnologico di grande utilità per l’odierna biomedicina
Sempre più spesso gli atenei favoriscono la nascita di società all’interno di propri dipartimenti, spin-off come quello messo in piedi da Giuseppe Firpo e i suoi soci di Nanomed srl, che ci ha raccontato la sua esperienza.
Come è nata l’idea di questo spin-off che ha messo insieme un gruppo di fisici e non solo?
La spin-off, che è nato nel 2010, ha sette soci: cinque fisici, un chimico e un biologo. Abbiamo goduto nel 2005 di un finanziamento Firb sulla ricerca di base nel campo delle nanobiotecnologie. Capofila era il nostro gruppo, capitanato dal prof. Valbusa, professore ordinario del dipartimento di Fisica dell’Università di Genova. Il progetto si prefiggeva di sviluppare dispositivi nanobiotecnologici per la biomedicina in grado di ottenere tutta una serie di vantaggi a livello di analisi, soprattutto per effettuarle in modo molto più rapido e con notevole abbattimento di costi. La naturale conclusione era dunque produrre qualche brevetto e, se possibile, fondare una spin-off per trasferire meglio questi risultati sul mercato. E così è stato. Noi siamo dei fisici e per costruire questi dispositivi sfruttiamo la nostra capacità di manipolazione della materia a livello micro e nanometrico. Poi siamo in team con dei medici, che hanno competenze biomediche, che ci permettono di capire se quello che stiamo facendo è corretto o meno.
Ma cosa sono le nanotecnologie?
Dal momento in cui si vanno a studiare, a manipolare oggetti che hanno dimensioni micro o nanometriche, dispositivi di dimensioni micro o nanometriche risultano più efficienti. Se devo per esempio controllare una molecola di Dna, utilizziamo canali più o meno di quelle dimensioni. Infiliamo il Dna in questi canali e immobilizzandolo con dei polimeri riusciamo a studiarlo meglio. Se non avessimo un canale di queste dimensioni nanometriche non vedremmo un Dna, ma come una matassa enorme che sarebbe praticamente impossibile da analizzare. Manipolare e ottenere del materiale riproducibile su scala nanometrica, quindi, ci dà questa reale possibilità.
La Liguria è un polo di eccellenza in questo campo?
Abbastanza, molte attività in questo settore sono concentrate per esempio all’Istituto italiano di tecnologia (Iit) che ha la sede centrale proprio qui a Genova.
Il progetto di cui andate più fieri svolto in questi anni di spin-off?
Sicuramente uno è proprio quello per cui è stato realizzato lo spin-off e che riguarda la realizzazione di nanocanali su materiale polimerico per realizzare dei setacci di Dna, selezionandolo in base alla lunghezza. In medicina è importante avere Dna di una dimensione piuttosto che di un'altra. L’operazione viene attualmente effettuata a livello macroscopico con materiali rudimentali e l’efficienza non è molto alta: si spreca tanto materiale chimico, è necessario l’intervento di un operatore esperto… Noi riusciremo a farlo, ormai siamo vicini al traguardo, con un dispositivo che può essere grande quanto una moneta, in grado di selezionare Dna solo di una certa lunghezza.
Com’è la vostra giornata tipo?
Siamo in laboratorio dalla mattina alla sera. Solo uno di noi, l’amministratore delegato, si occupa per il 10% del suo tempo di questioni economico-gestionali. Ma per il resto passa anche lui la sua giornata – e ne è ben più felice – in laboratorio con noi.
I vostri obiettivi futuri?
Tra pochi mesi dovremmo riuscire ad avere il primo dispositivo funzionante e riproducibile. Credo che poi l’università avrà interesse a mantenere con noi un certo rapporto, anche perché avere un certo numero di spin-off è diventato un titolo nei confronti del ministero. Ed è giusto che sia così: è la ricerca che serve a qualcosa, insomma, e non solo per fare accademia.
Come è nata l’idea di questo spin-off che ha messo insieme un gruppo di fisici e non solo?
La spin-off, che è nato nel 2010, ha sette soci: cinque fisici, un chimico e un biologo. Abbiamo goduto nel 2005 di un finanziamento Firb sulla ricerca di base nel campo delle nanobiotecnologie. Capofila era il nostro gruppo, capitanato dal prof. Valbusa, professore ordinario del dipartimento di Fisica dell’Università di Genova. Il progetto si prefiggeva di sviluppare dispositivi nanobiotecnologici per la biomedicina in grado di ottenere tutta una serie di vantaggi a livello di analisi, soprattutto per effettuarle in modo molto più rapido e con notevole abbattimento di costi. La naturale conclusione era dunque produrre qualche brevetto e, se possibile, fondare una spin-off per trasferire meglio questi risultati sul mercato. E così è stato. Noi siamo dei fisici e per costruire questi dispositivi sfruttiamo la nostra capacità di manipolazione della materia a livello micro e nanometrico. Poi siamo in team con dei medici, che hanno competenze biomediche, che ci permettono di capire se quello che stiamo facendo è corretto o meno.
Ma cosa sono le nanotecnologie?
Dal momento in cui si vanno a studiare, a manipolare oggetti che hanno dimensioni micro o nanometriche, dispositivi di dimensioni micro o nanometriche risultano più efficienti. Se devo per esempio controllare una molecola di Dna, utilizziamo canali più o meno di quelle dimensioni. Infiliamo il Dna in questi canali e immobilizzandolo con dei polimeri riusciamo a studiarlo meglio. Se non avessimo un canale di queste dimensioni nanometriche non vedremmo un Dna, ma come una matassa enorme che sarebbe praticamente impossibile da analizzare. Manipolare e ottenere del materiale riproducibile su scala nanometrica, quindi, ci dà questa reale possibilità.
La Liguria è un polo di eccellenza in questo campo?
Abbastanza, molte attività in questo settore sono concentrate per esempio all’Istituto italiano di tecnologia (Iit) che ha la sede centrale proprio qui a Genova.
Il progetto di cui andate più fieri svolto in questi anni di spin-off?
Sicuramente uno è proprio quello per cui è stato realizzato lo spin-off e che riguarda la realizzazione di nanocanali su materiale polimerico per realizzare dei setacci di Dna, selezionandolo in base alla lunghezza. In medicina è importante avere Dna di una dimensione piuttosto che di un'altra. L’operazione viene attualmente effettuata a livello macroscopico con materiali rudimentali e l’efficienza non è molto alta: si spreca tanto materiale chimico, è necessario l’intervento di un operatore esperto… Noi riusciremo a farlo, ormai siamo vicini al traguardo, con un dispositivo che può essere grande quanto una moneta, in grado di selezionare Dna solo di una certa lunghezza.
Com’è la vostra giornata tipo?
Siamo in laboratorio dalla mattina alla sera. Solo uno di noi, l’amministratore delegato, si occupa per il 10% del suo tempo di questioni economico-gestionali. Ma per il resto passa anche lui la sua giornata – e ne è ben più felice – in laboratorio con noi.
I vostri obiettivi futuri?
Tra pochi mesi dovremmo riuscire ad avere il primo dispositivo funzionante e riproducibile. Credo che poi l’università avrà interesse a mantenere con noi un certo rapporto, anche perché avere un certo numero di spin-off è diventato un titolo nei confronti del ministero. Ed è giusto che sia così: è la ricerca che serve a qualcosa, insomma, e non solo per fare accademia.