Un trip di ritmo
Preparatevi ad un viaggio onirico e coinvolgente con “Jordan”, l’ultimo album di Capibara, ironico ed eclettico artista che ha appena vinto la targa PIMI come giovane rivelazione fra gli indipendenti
Come definiresti il tuo stile musicale?
Non credo di riuscire a dare un termine alla mia musica, forse la cosa che più ci si avvicina è afrobeat-pop-malinconico-coatto. È un genere?
Il titolo del tuo disco, Jordan, è il nome di una donna perfetta: sei lo stilnovista degli anni 2000?
Non sono mai stato uno dei migliori al liceo, ma lo Stilnovismo me lo ricordo e non credo di essere uno di loro! Io parlo della donna perfetta, ma non lo faccio in maniera buona. E poi la donna perfetta non esiste. Solo Alice Glass ci si avvicina molto, devo trovare modo di conoscerla!
Hai recentemente vinto la targa PIMI per gli artisti indipendenti: come hai vissuto questo riconoscimento?
È stato abbastanza inaspettato, vedendo soprattutto i precedenti vincitori: Colapesce, Erica Mou, I Cani, ecc... Quando me l’hanno annunciato ero a letto a dormire (sì era mezzogiorno, in realtà dovevo già stare in piedi) e me l’hanno dovuto ripetere un paio di volte prima che capissi la notizia.
Ci sono molte featuring nel tuo album: come sono nate?
In maniere differenti, in situazioni differenti e in modalità differenti. Ed è questo il bello delle featuring, gli approcci sempre nuovi e i risultati inaspettati su una tua traccia.
Le tue performance live sono molto coinvolgenti: come ti prepari?
Mi piace adattarmi al pubblico e non che il pubblico si adatti a me. Quindi preparo il live a seconda della situazione: se si fa in un club allora preparo un bel set ballabile e coinvolgente, se è un momento più di ascolto invece cerco di fare un qualcosa più soft, ma senza naturalmente scordare i ritmi e le percussioni.
È giusto definire alcuni tuoi pezzi onirici?
Assolutamente sì. Mi è piaciuto mettere in Jordan tutto ciò che mi ha formato musicalmente e mentalmente. Se alcuni pezzi sono molto “bass” e molto da dancefloor, altri invece sono più distesi e malinconici, a richiamare altri momenti della mia vita (un po' meno divertenti). E poi parliamone: D ci starebbe troppo bene in un film commedia-malinconico presentato al Sundance Festival.
Puoi svelare al pubblico perché ti chiami Capibara?
Perché è brutto, peloso e ha bisogno di affetto. Direi che è palese la somiglianza.
Quali i tuoi progetti futuri?
Per ora andarmene al Club To Club a Torino, rigorosamente come spettatore. Poi ho messo in giro la voce che a gennaio esce il mio nuovo EP, quindi sono fregato e mi tocca farlo davvero.
Non credo di riuscire a dare un termine alla mia musica, forse la cosa che più ci si avvicina è afrobeat-pop-malinconico-coatto. È un genere?
Il titolo del tuo disco, Jordan, è il nome di una donna perfetta: sei lo stilnovista degli anni 2000?
Non sono mai stato uno dei migliori al liceo, ma lo Stilnovismo me lo ricordo e non credo di essere uno di loro! Io parlo della donna perfetta, ma non lo faccio in maniera buona. E poi la donna perfetta non esiste. Solo Alice Glass ci si avvicina molto, devo trovare modo di conoscerla!
Hai recentemente vinto la targa PIMI per gli artisti indipendenti: come hai vissuto questo riconoscimento?
È stato abbastanza inaspettato, vedendo soprattutto i precedenti vincitori: Colapesce, Erica Mou, I Cani, ecc... Quando me l’hanno annunciato ero a letto a dormire (sì era mezzogiorno, in realtà dovevo già stare in piedi) e me l’hanno dovuto ripetere un paio di volte prima che capissi la notizia.
Ci sono molte featuring nel tuo album: come sono nate?
In maniere differenti, in situazioni differenti e in modalità differenti. Ed è questo il bello delle featuring, gli approcci sempre nuovi e i risultati inaspettati su una tua traccia.
Le tue performance live sono molto coinvolgenti: come ti prepari?
Mi piace adattarmi al pubblico e non che il pubblico si adatti a me. Quindi preparo il live a seconda della situazione: se si fa in un club allora preparo un bel set ballabile e coinvolgente, se è un momento più di ascolto invece cerco di fare un qualcosa più soft, ma senza naturalmente scordare i ritmi e le percussioni.
È giusto definire alcuni tuoi pezzi onirici?
Assolutamente sì. Mi è piaciuto mettere in Jordan tutto ciò che mi ha formato musicalmente e mentalmente. Se alcuni pezzi sono molto “bass” e molto da dancefloor, altri invece sono più distesi e malinconici, a richiamare altri momenti della mia vita (un po' meno divertenti). E poi parliamone: D ci starebbe troppo bene in un film commedia-malinconico presentato al Sundance Festival.
Puoi svelare al pubblico perché ti chiami Capibara?
Perché è brutto, peloso e ha bisogno di affetto. Direi che è palese la somiglianza.
Quali i tuoi progetti futuri?
Per ora andarmene al Club To Club a Torino, rigorosamente come spettatore. Poi ho messo in giro la voce che a gennaio esce il mio nuovo EP, quindi sono fregato e mi tocca farlo davvero.