Musica

Un racconto fra le note

In un’estate di concerti si creano atmosfere da sogno, dove colori luoghi e note si uniscono: il Fiorella Live arriva a Cernobbio

24 giugno 2015di Aldo Macchi

Non canta Fiorella, si racconta, lo fa attraverso le canzoni che negli anni l’hanno emozionata, le hanno dato una svolta. A cominciare da quel “Un bimbo sul leone” di Adriano Celentano, cantata sul palco in un 1968 che la vedeva quattordicenne e inconsapevole di ciò che sarebbe successo. Diversa la situazione, tredici anni più tardi che l’ha portata a cantare, al Festival di Sanremo del 1981 “Caffè nero bollente”, una canzone che l’ha inserita nel panorama musicale, fino alla consacrazione arrivata con la celeberrima “Come si cambia”. È lì che ha iniziato a conoscere, forse a seguire le vie su cui la sua voce la stava portando. E Fiorella ha iniziato a cambiare, a seguire il suo istinto, lasciando che le cose accadessero. Il mondo della musica l’ha accolta portandola a cantare testi di artisti famosi. Il tutto raccontato attraverso la musica. Fiorella dimostra come la cover non sia una semplice interpretazione di una canzone nota, ma che può essere un racconto, che può rivivere attraverso la voce di un’artista che plasma la sua vita, la sua carriera su note prestate da chi l’ha capita, da chi ha creduto in lei. Sentirla cantare “Amore bello” di Baglioni è un chiudere gli occhi e riavvolgere il nastro in epoche lontane, ma non troppo. I mitici anni ’80, la televisione pubblica e quella trasmissione, Premiatissima, che l’ha vista vincere, in quello che dal palco lei stessa ha definito una prima forma di talent. Una vittoria che le h aperto le porte della musica d’autore, con una canzone che le avrebbe cambiato la vita, scritta da Enrico Ruggeri e offerta a tutte le donne che da lì in poi si sarebbero identificate nel testo di “Quello che le donne non dicono”. Il pubblico di Fiorella la ama, vive e sogna con lei nelle sue canzoni, le interpreta le dona. Così, sui versi di “Siamo così, dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate , ma potrai trovarci ancora qui nelle sere tempestose portaci delle rose…” Sul palco le rose sono arrivate davvero, un gesto semplice, più veloce della sicurezza, più veloce delle parole, un’emozione che si è rispecchiata nella commozione di una donna che sul palco ha vissuto e vive tutt’ora, ma vive per davvero. Sul palco Fiorella si abbraccia, sente la sua vita mentre la canta.

Perché la Mannoia non racconta, canta, lo fa di gusto, in una evoluzione temporale che la aiuta a ripercorrere la strada che la porta agli anni 2000. Lo fa ricordando la grande amicizia con Ivano Fossati, termine prezioso che mette il sorriso quando viene utilizzato nell’ambiente musicale, un sorriso di gioia e non di malizia, perché detto con quella sincerità che emerge da parole come “nelle notti come questa che ci si può aspettare se non una canzone per farsi ricordare da te”, di “Le notti di maggio”, ma che raggiunge l’apoteosi della poesia che solo chi vive di passioni ed emozioni può sentire come un battito di gran cassa in mezzo al petto, con “C’è tempo”, che lascia un segno, un altro dono, della Mannoia al suo pubblico, un concetto presente in più canzoni vissute durante la serata: “Io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”. Sussurrato, senza note, cantato, offerto, accolto.  “Sempre e per sempre”. Nulla capita per caso in questo concerto, tutto si sussegue come un normale evolversi che non potrebbe che essere così. La Mannoia canta e lo fa benissimo, variando di genere con naturalezza impressionante, passando da De Gregori a Paolo Conte, con “Boogie” che lascia capire il cambiamento ormai alle porte, si entra nel nuovo millennio e la Mannoia canta.

Fiorella Mannoia canta e racconta, lo fa perché ha la consapevolezza di chi non ha subito ma affrontato la sua vita. Lo fa perché interpreta la sua carriera su un palco dove ha imparato a sentirsi libera, dove si è riscoperta, o meglio, ha permesso agli altri di scoprire il suo essere donna, il suo essere sensuale in quel pudore che la contraddistingue spiegando il valore della bellezza non ostentata ma mostrata. Quel pudore mostrato nei confronti della musica. Quel pudore che è proprio del suo pubblico che, come lei racconta, ha accolto il suo cambiamento esternato su un palco dei primi anni 2000 con un vestito rosso con spacco di tutta la gamba, con un silenzio che si è liberato in un boato, capace di liberare l’istinto di Fiorella Mannoia che su quel palco, da lì in poi, ha iniziato a divertirsi. Così da Boogie si passa Messico e Nuvole, il pubblico canta e racconta con lei. È una condivisione reciproca di ricordi e sentimenti. Persone che timidamente si avvicinano al palco e allungano un dito, un dito che incontra quello della cantante che da interprete è diventata autrice. Quel pudore che l’aveva spinta a vivere le parole prestate da altri ha sentito l’esigenza di essere musica. Le cose succedono quando devono succedere, la donna esprime la sua essenza. Fiorella Mannoia è donna, di quella femminilità che ti spinge a essere mamma, fa parte del tuo, del suo DNA. Con quella canzone che ha sancito il suo ingresso nel cantautorato. “In viaggio” è la raccomandazione di una madre che lascia andare la figlia, in un viaggio che la porta lontano, un viaggio intrapreso da molti dei protagonisti dell’album “Sud”. E non manca quella frase che ogni fan sente di fare sua “non ho altro da offrirti solo le mie parole”. Perché come ogni artista nelle canzoni ci mette quel che vuole e le interpreta come vuole, così anche il pubblico interpreta il suo concerto. La trasmissione è completa, il messaggio arriva dritto al cuore passando dalle orecchie e dagli occhi. Ed è con questo sentimento che dal palco, Fiorella Mannoia, canta “Cercami” di Renato Zero, gli occhi la cercano, la seguono la scrutano in ogni suo movimento. Ed ecco che in questa tensione emotiva parte “Sally”, non una cover, la cover, la seconda vita di una canzone che cantata da una donna cambia forma, vive ancor di più. Non è una dedica ma è un racconto, una testimonianza: è vita vera. Una vita dove non si deve avere paura, dove si deve lottare per essere ciò in cui si crede. “Io non ho paura” è la scintilla per un pubblico che inizia a sentirsi stretto sulla sedia. Qualcosa sta davvero cambiando, non solo nella musicalità ma in tutto il contesto. Fiorella Mannoia capisce il suo pubblico e il pubblico capisce lei: “Il tempo non torna più” è l’ennesimo tassello del puzzle che alimenta una fiamma che ha solo bisogno di ossigeno per divampare.

Perché il pubblico canta e racconta Fiorella Mannoia, e lo fa attraverso la sua canzone, quella scritta di suo pugno “Le parole perdute”. Sul palco è una festa vera e sotto il palco arrivano di corsa i fan. Sentono il richiamo e lei li lascia venire a sé, la sicurezza non interviene perché non c’è nulla che possa andare storto. È la musica che si fa popolo è la vita che si mette sul pentagramma e disegna magia. Seguono canzoni il cui titolo passa in secondo piano perché anche chi scrive ha preferito vivere il momento, vivere il leggiadro esprimersi del fascino di essere Fiorella Mannoia. E diventando interprete a mia volta, prendo in prestito il testo dell’ultima canzone, “Il cielo d’Irlanda”: “Ma dopo un momento li fa brillare più del vero Il cielo d'Irlanda è una donna che cambia spesso d'umore”, perché per una notte Fiorella Mannoia è stata il cielo d’Irlanda. Un’artista capace di essere una sua canzone, l’evoluzione completa di un’interprete autrice. E il pubblico la abbraccia.

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